Roland Barthes ci ha lasciato pagine indimenticabili sulla fotografia: personali, commuoventi, dallo stile così asciutto ed equilibrato che alle orecchie sembra il sussurro di una confessione d'anziano, meditata e segreta. Uno dei suoi più importanti apporti teorici è senza dubbio quello della teoria dello studium e del punctum:
«Stavo sfogliando una rivista illustrata. Una fotografia attirò la mia attenzione. Niente di veramente straordinario: la banalità (fotografica) di una rivolta in Nicaragua: due sodati con l'elmetto in testa che pattugliano una strada in rovina; in secondo piano, due suore stanno transitando. Quella foto mi piaceva? M'interessava? M'incuriosiva? Niente di tutto ciò. Semplicemente, quella foto esisteva (per me). Capii subito che la sua esistenza (la sua "avventura") era dovuta alla co-presenza di due elementi discontinui, eterogenei in quanto non appartenevano allo stesso mondo (nessun bisogno di arrivare fino al contrasto): i soldati e le suore». E, come aggiunge, subodorò una regola strutturale.
Dei due elementi «il primo, chiaramente, è una distesa; esso ha l'estensione d'un campo, che abbastanza familiarmente io vedo in funzione del mio sapere, della mia cultura; questo campo può essere più o meno stilizzato, più o meno riuscito, secondo la perizia o la fortuna del fotografo, ma esso rinvia sempre a un'informazione classica [...]. Di questo campo ci sono migliaia di foto, e per queste foto io posso chiaramente provare una sorta d'interesse generale, talora commosso, ma la cui emozione passa attraverso il relais raziocinante di una cultura morale e politica. Ciò che io provo per queste fotografie procede da un affetto medio, quasi da un addestramento. Io non riuscivo a trovare, in francese, una parola che semplicemente esprimesse quella specie di interesse umano; ma in latino, credo, questa parola esiste: è studium, che non significa, per lo meno come prima accezione, "lo studio", bensì l'applicazione a una cosa, il gusto per qualcuno, una sorta d'interessamento, sollecito, certo, ma senza particolare intensità. E' attraverso lo studium che io m'interesso a molte fotografie, sia che le recepisca come testimonianze politiche, sia che le gusti come buoni quadri storici; infatti, è culturalmente (questa connotazione è presente nello studium) che io partecipo alle figure, alle espressioni, ai gesti, allo scenario, alle azioni.
Il secondo elemento viene a infrangere (o a scandire) lo studium. Questa volta, non sono io che vado in cerca di lui (dato che investo della mia superiore coscienza il campo dello studium), ma è lui che, partendo dalla scena, come una freccia, mi trafigge. In latino, per designare questa ferita, questa puntura, questo segno provocato da uno strumento aguzzo, esiste una parola; tale parola farebbe ancora meglio al caso mio in quanto essa rinvia all'idea di punteggiatura e in quanto le foto di cui parlo sono in effetti come punteggiate, talora addirittura maculate, di questi punti sensibili; quei segni, quelle ferite sono effettivamente dei punti. Chiamerò quindi questo secondo elemento che viene a disturbare lo studium, punctum; infatti punctum è anche: puntura, piccolo buco, macchiolina, piccolo taglio -e anche impresa aleatoria-. Il punctum di una fotografia è quella fatalità che, in essa, mi punge (ma anche mi ferisce, mi ghermisce). [...] In fondo, la Fotografia è sovversiva non quando spaventa, sconvolge o anche solo stigmatizza, ma quando è pensosa".
Il punctum esiste quando ci si sente attratti da un particolare, suscettibile di modificare, per la sua sola presenza, la lettura dell'immagine; esso "non si cura della morale o del buon gusto; il punctum può essere maleducato. [...] Lo studium è in definitiva sempre codificato, mentre invece il punctum non lo è mai".
Per quanto Barthes non approvi il cinema, che non lascia spazio alla pensosità citata sopra e conseguentemente al punctum, io provo ad applicare ugualmente la sua teoria -mi auguro senza forzature- al cinema. Il materiale che voglio sottoporre ad esame è da una parte la commedia all'italiana, in particolare i film con Totò e Peppino, e dall'altra i colossal hollywoodiani come "Il Signore degli Anelli". Dei primi ne vedo di continuo, in quanto napoletano; il secondo è una mia recente visione. C'è un dato che accomuna quasi tutti gli appassionati estimatori dei film della commedia all'italiana e specialmente di quelli con Totò e Peppino: "più li vedo e più rido, non mi stanco mai". Alcuni, poi, ammettono di scoprire sempre nuovi sensi o ammiccamenti nelle battute, una espressione mimica che non avevano mai colto prima, il gesto di un attore sullo sfondo, etc. Ciò che accomuna queste affermazioni è il soffermarsi sul particolare come elemento saliente nella costruzione dell'intero personaggio e del film.
Gli attori della commedia all'italiana recitavano a soggetto, perciò l'improvvisazione aveva un ruolo a volte preponderante rispetto alle battute già scritte. Questo significa poco studium e molto punctum. Poiché, infatti, il primo deriva da un altro studere, lapplicarsi attento e pianificatore del regista alle scene che gira, mentre il secondo origina dallimprovvisazione dagli attori, ne consegue che quei film così costruiti colpiscono lo spettatore per mezzo dei puncta, precisamente nel modo descritto da Barthes: subdolo, apparentemente banale e spesso anche differito. Perciò noi solitamente non li cogliamo mentre lo guardiamo, e non di meno essi influiscono su di noi, rendendoci il film più liquido, più ricco.
Al contrario, un film come Il Signore degli Anelli, colossale produzione hollywoodiana, a fronte di un costosissimo e spettacolare carnet di effetti speciali presenta immagini talmente evidenti, talmente palesi da non contenere, ne sono certo, alcun punctum. Ecco, la recita a soggetto, l'arte teatrale della recitazione, è esattamente questo: la linea ripiegata, il labirinto (in questo rispecchia in pieno da qui il suo realismo- la realtà). Ma il computer non può ripiegarsi, sottrarsi allovvietà, allevidenza perché le sue immagini sono interamente programmate. Esattamente come la recita secondo copione. Né potrebbe essere altrimenti, date le scene che debbono essere girate.
Il problema è che tutti i film e i film danimazione statunitensi tratti dalla fantascienza o dalla fantasy vengono realizzati in modo da essere quanto più verosimili è possibile; cercano, in altre parole, di dissimulare la loro assoluta falsità, lo status di finzione che, ereditato dalla letteratura, non accettano di mantenere. E in ciò errano, poiché la fantasia umana non ha più spazio per esercitarsi.
«Stavo sfogliando una rivista illustrata. Una fotografia attirò la mia attenzione. Niente di veramente straordinario: la banalità (fotografica) di una rivolta in Nicaragua: due sodati con l'elmetto in testa che pattugliano una strada in rovina; in secondo piano, due suore stanno transitando. Quella foto mi piaceva? M'interessava? M'incuriosiva? Niente di tutto ciò. Semplicemente, quella foto esisteva (per me). Capii subito che la sua esistenza (la sua "avventura") era dovuta alla co-presenza di due elementi discontinui, eterogenei in quanto non appartenevano allo stesso mondo (nessun bisogno di arrivare fino al contrasto): i soldati e le suore». E, come aggiunge, subodorò una regola strutturale.
Dei due elementi «il primo, chiaramente, è una distesa; esso ha l'estensione d'un campo, che abbastanza familiarmente io vedo in funzione del mio sapere, della mia cultura; questo campo può essere più o meno stilizzato, più o meno riuscito, secondo la perizia o la fortuna del fotografo, ma esso rinvia sempre a un'informazione classica [...]. Di questo campo ci sono migliaia di foto, e per queste foto io posso chiaramente provare una sorta d'interesse generale, talora commosso, ma la cui emozione passa attraverso il relais raziocinante di una cultura morale e politica. Ciò che io provo per queste fotografie procede da un affetto medio, quasi da un addestramento. Io non riuscivo a trovare, in francese, una parola che semplicemente esprimesse quella specie di interesse umano; ma in latino, credo, questa parola esiste: è studium, che non significa, per lo meno come prima accezione, "lo studio", bensì l'applicazione a una cosa, il gusto per qualcuno, una sorta d'interessamento, sollecito, certo, ma senza particolare intensità. E' attraverso lo studium che io m'interesso a molte fotografie, sia che le recepisca come testimonianze politiche, sia che le gusti come buoni quadri storici; infatti, è culturalmente (questa connotazione è presente nello studium) che io partecipo alle figure, alle espressioni, ai gesti, allo scenario, alle azioni.
Il secondo elemento viene a infrangere (o a scandire) lo studium. Questa volta, non sono io che vado in cerca di lui (dato che investo della mia superiore coscienza il campo dello studium), ma è lui che, partendo dalla scena, come una freccia, mi trafigge. In latino, per designare questa ferita, questa puntura, questo segno provocato da uno strumento aguzzo, esiste una parola; tale parola farebbe ancora meglio al caso mio in quanto essa rinvia all'idea di punteggiatura e in quanto le foto di cui parlo sono in effetti come punteggiate, talora addirittura maculate, di questi punti sensibili; quei segni, quelle ferite sono effettivamente dei punti. Chiamerò quindi questo secondo elemento che viene a disturbare lo studium, punctum; infatti punctum è anche: puntura, piccolo buco, macchiolina, piccolo taglio -e anche impresa aleatoria-. Il punctum di una fotografia è quella fatalità che, in essa, mi punge (ma anche mi ferisce, mi ghermisce). [...] In fondo, la Fotografia è sovversiva non quando spaventa, sconvolge o anche solo stigmatizza, ma quando è pensosa".
Il punctum esiste quando ci si sente attratti da un particolare, suscettibile di modificare, per la sua sola presenza, la lettura dell'immagine; esso "non si cura della morale o del buon gusto; il punctum può essere maleducato. [...] Lo studium è in definitiva sempre codificato, mentre invece il punctum non lo è mai".
Per quanto Barthes non approvi il cinema, che non lascia spazio alla pensosità citata sopra e conseguentemente al punctum, io provo ad applicare ugualmente la sua teoria -mi auguro senza forzature- al cinema. Il materiale che voglio sottoporre ad esame è da una parte la commedia all'italiana, in particolare i film con Totò e Peppino, e dall'altra i colossal hollywoodiani come "Il Signore degli Anelli". Dei primi ne vedo di continuo, in quanto napoletano; il secondo è una mia recente visione. C'è un dato che accomuna quasi tutti gli appassionati estimatori dei film della commedia all'italiana e specialmente di quelli con Totò e Peppino: "più li vedo e più rido, non mi stanco mai". Alcuni, poi, ammettono di scoprire sempre nuovi sensi o ammiccamenti nelle battute, una espressione mimica che non avevano mai colto prima, il gesto di un attore sullo sfondo, etc. Ciò che accomuna queste affermazioni è il soffermarsi sul particolare come elemento saliente nella costruzione dell'intero personaggio e del film.
Gli attori della commedia all'italiana recitavano a soggetto, perciò l'improvvisazione aveva un ruolo a volte preponderante rispetto alle battute già scritte. Questo significa poco studium e molto punctum. Poiché, infatti, il primo deriva da un altro studere, lapplicarsi attento e pianificatore del regista alle scene che gira, mentre il secondo origina dallimprovvisazione dagli attori, ne consegue che quei film così costruiti colpiscono lo spettatore per mezzo dei puncta, precisamente nel modo descritto da Barthes: subdolo, apparentemente banale e spesso anche differito. Perciò noi solitamente non li cogliamo mentre lo guardiamo, e non di meno essi influiscono su di noi, rendendoci il film più liquido, più ricco.
Al contrario, un film come Il Signore degli Anelli, colossale produzione hollywoodiana, a fronte di un costosissimo e spettacolare carnet di effetti speciali presenta immagini talmente evidenti, talmente palesi da non contenere, ne sono certo, alcun punctum. Ecco, la recita a soggetto, l'arte teatrale della recitazione, è esattamente questo: la linea ripiegata, il labirinto (in questo rispecchia in pieno da qui il suo realismo- la realtà). Ma il computer non può ripiegarsi, sottrarsi allovvietà, allevidenza perché le sue immagini sono interamente programmate. Esattamente come la recita secondo copione. Né potrebbe essere altrimenti, date le scene che debbono essere girate.
Il problema è che tutti i film e i film danimazione statunitensi tratti dalla fantascienza o dalla fantasy vengono realizzati in modo da essere quanto più verosimili è possibile; cercano, in altre parole, di dissimulare la loro assoluta falsità, lo status di finzione che, ereditato dalla letteratura, non accettano di mantenere. E in ciò errano, poiché la fantasia umana non ha più spazio per esercitarsi.